Due uomini nel deserto (per non parlare del cane)

La citazione adattata del titolo del romanzo di Jerome K. Jerome «Due uomini in barca (per non parlare del cane)» mi sembra adatta per introdurre il racconto della fuga di due amici e del loro cane in una zona desertica della Namibia per evitare la prigione. 
Non un romanzo d’avventure ma una storia vera narrata in un libro da uno dei protagonisti.

 Henno Martin e Hermann Korn erano due geologi tedeschi impiegati nell’ex Africa occidentale tedesca (odierna Namibia) amministrata, dopo la prima guerra mondiale, dal Sud Africa.

 
Nel 1940, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, il governo sudafricano, iniziò ad internare i cittadini di origine tedesca nei campi di concentramento, Martin e Korn, contrari alla guerra, non avevano intenzione di farsi internare né di aver parte in quello che essi definivano un suicidio di massa di popolazioni civilizzate. 
Erano quindi, come Martin scrive, «determinati a mantenere la nostra neutralità e a difendere la nostra indipendenza per quanto in nostro potere».
Una notte, seduti sui gradini di casa, ricordarono le parole che, per gioco, si dissero tempo prima:   «se la guerra verrà, la passeremo nel deserto!».
Affascinati dall’idea iniziarono immediatamente i preparativi per e vivere nel deserto fino alla fine degli eventi bellici.
Non potendolo abbandonare, decisero di portare con loro il cane Otto.
La loro meta era una zona arida priva di strade e disabitata lungo il canyon del fiume Kuiseb, a circa 150 km in linea d’aria a Sud-Ovest dalla capitale Windhoek.
Caricarono il furgone di servizio con i loro averi e notificarono alla polizia che sarebbero andati, per lavoro, a Karibib città a Nord-Ovest della capitale. Vi giunsero, si fecero vedere ma poi, di notte, partirono per l’avventura.
I due fuggiaschi svanirono nel deserto per due anni e mezzo, vivendo come cacciatori primitivi guidati solamente dalle dure leggi della natura e dai propri umani limiti.
La loro prima dimora fu una grotta nei pressi di una gola del fiume  Kuiseb, che avevano “arredato” per un’esistenza, se così si può dire, confortevole.
Per sfuggire alla polizia che li cercava furono costretti, in seguito, “cambiare casa” spostandosi lungo le gole del fiume.
La seconda “casa” è ancora visibile nel terreno della Farm Niedersachsen (visite guidate). http://www.farmniedersachsen.com
Dovettero imparare a conservare le carni degli animali cacciati, a pescare carpe nelle pozze lasciate dalle piene del fiume, a coltivare un piccolo orto.
Essi si resero presto conto di quanto dipendessero dall’acqua per cucinare, bere, per uso personale e per la caccia che era più agevole quando potevano appostarsi vicino alle pozze ove gli animali si abbeverevano.
Le piogge erano quindi attese spasmodicamente e, quando arrivavano, non solo erano garanzia di vita ma anche un incanto per gli occhi e lo spirito.
Nel giro di pochi minuti i semi, dormienti, si aprivano: fiori ed erba coloravano, quasi per miracolo, il deserto.
Otto, il cane, era, forse, il più felice dei tre anche se il suo istinto predatore lo portava a rincorrere le potenziali prede di Martin e Korn creando non pochi problemi.
Poiché erano ancora ricercati non potevano avvicinarsi troppo alle fattorie, ma quando Otto fu incornato da un Gemsbok (un’antilope), essi dovettero chiedere aiuto ad un fattore il quale li ospitò per alcuni giorni.
Uno dei lavoratori locali della fattoria parlò della loro presenza ai membri della sua tribù e da qui la notizia arrivò alle autorità che ricominciarono a cercarli.
Da qui l’esigenza di spostarsi.
Per trascorrere il tempo, mentre Martin prendeva appunti, Korn suonava il violino e fumava la pipa, ma era chiaro che prima o poi contrasti sarebbero emersi tra i due.
Dopo una litigata Martin se ne andò per 4 giorni; la cosa parve funzionare e l’animosità sbollì.
In seguito Korn, visto che le scorte di alimenti (farina, sale, ecc.) e di tabacco per la pipa si erano esauriti, decise, a sua volta, di andarsene in città col camion per fare spese confidando che, il primo di gennaio, la maggior parte dei poliziotti stesse dormendo e che, la sua lunga barba e l’aspetto emaciato l’avrebbero reso irriconoscibile.
Siccome è vero che la fortuna aiuta gli audaci, dopo tre giorni, Korn ritornò con caffè, bacon, frutta ed altre scorte acquistate da un negoziante che l’aveva riconosciuto ma non denunciato.
 Dopo circa due anni e mezzo trascorsi tra avventure, pericoli, malanni ed incidenti vari, Korn si ammalò gravemente tanto da divenire incapace di camminare. Dopo circa un mese di sofferenze non restava altra scelta che riportarlo alla “civiltà”.
Giunsero in una fattoria ed il proprietario, che stava per portare la moglie malata in ospedale, accettò di prendere con sé anche Korn.
Martin non era pronto a rinunciare alla propria libertà e tornò nel deserto. Tuttavia Korn (cui fu diagnosticata un’avitaminosi curata con iniezioni di vitamina B) si rese conto che Martin non sarebbe potuto sopravvivere a lungo solo col cane per cui rivelò alle autorità il loro nascondiglio.
Dopo due giorni la polizia arrivò; Martin se lo aspettava e, forse nel fondo dell’anima, lo sperava.
Quando dovettero essere giudicati con loro grande sorpresa furono accusati solo di reati minori (mancato pagamento del bollo del camion e della tassa sul cane, uccisione di animali senza permesso, etc.). Il giudice si mostrò comprensivo e li sentenziò a pagare lievi multe senza farli internare. Successivamente furono reintegrati nel loro lavoro di geologi.
 Il seguito, però, non fu così felice per tutti: Korn morì nel 1946.
Ma come per un scherzo del destino lui, che era sopravvissuto ad intossicazioni, reazioni allergiche, privazioni ed incontri con animali feroci, perse la vita in una tipica disgrazia della civilizzazione: un incidente stradale.
Otto visse ancora alcuni anni. Vecchio e sordo un giorno sparì per non più ritornare.
Martin scrisse nel 1957 un libro sulla loro avventura: “Wenn es Krieg gibt, gehen wir in die Wüste” ( Se la guerra verrà, andremo nel deserto). Ne ho acquistato una copia in lingua inglese: “The sheltering desert “ che può essere tradotto circa in “il protettivo deserto”. Da esso fu ricavato, nel 1992,  un film ormai introvabile.
 Per chi, come me, ha attraversato lande deserte ed è passato diverse volte da quelle parti, è più facile, leggendo il libro, capire la loro odissea fisica e mentale e quei due anni e mezzo, certamente di patimenti, ma anche di completa libertà e profonde riflessioni sull’evoluzione umana.
 
Anche se non ho mai vissuto esperienze come la loro mi sento, umilmente, di condividere alcune considerazioni di Martin.
Perché, ad esempio, la visione di un vuoto paesaggio di sabbia, sassi, rocce e scarpate, agita lo spirito più di campagne verdi e foreste?
Perché i giochi di luci, i colori e le distanze hanno un effetto così energetico, affascinante e gioioso?
Forse perché la nostra mente ci porta a provare un senso di libertà illimitata, non condizionata da altre forme di vita?
Martin e Korn sapevano che la vita nel deserto era difficile e chi sopravviveva lo faceva sempre a spese di altri, ma questo concetto era, per loro stessa ammissione, astratto e filtrato dalla ragione.
Quando si trovarono a dover cacciare per sopravvivere, con un limitato arsenale e munizioni (erano state confiscate quasi tutte le loro armi), l’amore e la pietà per gli animali scomparvero rapidamente anche se rimaneva un grande rispetto per essi.
L’esposizione ad una vita più essenziale e l’ascolto delle notizie di guerra attraverso radio alimentata da un generatore eolico, spinsero i due ad interrogarsi sull’evoluzione umana, sul fatto che secoli di sviluppo sembravano aver condotto il genere umano verso la progressiva distruzione.
Giunsero alla conclusione che religioni, filosofie e sistemi morali non hanno mai impedito all’uomo di tuffarsi in guerre fratricide come quella che stavano attraversando e che, nonostante secoli di civilizzazione, l’animo umano era ancora quello dell’età della pietra.
Dopo circa due anni gli animali, loro “compagni” di vita e principale fonte di cibo, iniziarono a comparire sempre più spesso nei loro sogni e la distinzione tra essi e gli esseri umani si fece più indistinta.
I sogni provano che fantasia ed immaginazione possono avere significato reale e spesso i problemi, quando la razionalità e la coscienza hanno fallito, hanno soluzione nei sogni.
In molte mitologie esseri umani ed animali si fondono trasformandosi gli uni negli altri; così era per i Bushman (di cui ho parlato nell’aprile e maggio 2014), gli originari abitanti del territorio che dagli animali dipendevano e che rispettavano al punto da averli divinizzati.
Martin e Korn ne compresero lo stile di vita, la concezione di questo mondo e dell’aldilà, la comunione con la natura in cui essi vivevano e l’importanza dei loro miti e leggende.
Miti e leggende che hanno anche ha fatto sì che i loro figli mai sviluppassero istinti distruttivi.
I due amici giunsero a profetiche considerazioni (era il 1941).
La forza dell’uomo è basata sull’accumulo di materia inanimata con la quale esso esercita il potere sopra altri esseri umani con guerre sempre più distruttive.
Ipotizzarono che l’uomo sarebbe arrivato al punto di utilizzare «l’arma assoluta» che l’avrebbe condotto all’estinzione.
Il futuro era, quindi, nero ma una via di fuga era aperta perché, in fondo, l’uomo ha la capacità di conoscere i pericoli dello sviluppo e conoscere ha implicita la possibilità di redenzione.
Martin scrive: «Chi può mai sapere oggi quali caratteristiche e capacità saranno di vitale importanza da qui a migliaia di anni? Solo la salvaguardia di tutte le umane caratteristiche, incluse le debolezze, può condurre senza pericolo attraverso un incerto futuro.
Come realizzare ciò? Certamente non con la forza che non preserva ma distrugge. C’è solo una cosa che protegge tutto, inclusi deboli: l’amore. L’uomo può controllare il futuro solo con l’amore. Questo è il messaggio che ci è stato trasmesso circa duemila anni fa»
 
Queste sono considerazioni decisamente pacifiste e che si adattano al presente.
Guardando quello che sta succedendo nel mondo non viene voglia di scappare nel deserto?
 
Testo e foto: Mauro Almaviva
 
Articolo pubblicato nel numero di aprile 2015 della rivista online “Il Cofanetto Magico”
 
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